Pupazzi di neve, torta di mele con crema confortevole e Pablo Neruda

Stamattina i tetti erano imbiancati, ma la neve era già scomparsa dalle strade e dai cortili.
Mio figlio si è svegliato, "ohh, la neve", e non voleva credere che di neve ne fosse rimasta ormai solo una traccia. Se cade la neve, bisogna per forza fare un pupazzo.

Così siamo usciti, la giacca pesante, i guanti felpati e il cappello calato sulle orecchie. Faceva freddo, ma la gioia bambina, si sa, riscalda ogni cosa. Ci siamo trovati con gli amichetti, e i bimbi hanno corso per due ore, finendo esausti con le guance arrossate e gli occhi luccicanti di gioia.

E il pupazzo? Io mi ostinavo a ripetere "non c'è neve, come si fa", ma loro hanno trasformato quei pochi mucchietti rimasti sulle aiuole in una pallina ghiacciata. "Ecco il pupazzo", dicevano orgogliosi e io ho invidiato, ho invidiato davvero  la fantasia unica dell'infanzia, quella che ha il potere di trasformare tutte le cose.

A casa il tepore ci ha riscaldati. "Mamma, cosa facciamo?" "Cuciniamo una torta di mele".
Prendo una ricetta mai provata, quella scritta da una mia alunna meravigliosa, e mi dico che sì, dopo il freddo questa delizia è un auntentico conforto.
All'apparenza, una torta di mele come le altre: mescolate due uova intere, 100 ml. di latte, 150 gr. di farina, una bustina di lievito vanigliato, 60 gr. di olio di semi, 100 gr. di zucchero (la ricetta dice 130, ma io non amo le cose troppo dolci) e un pizzico di sale. Se usate la planetaria, mettete tutto nella ciotola, azionate e verrà benissimo.


Mentre l'impasto viene mescolato, tagliate a dadini due mele e irroratele di succo di limone; mettete l'impasto nella tortiera foderata e aggiungete i dadini di mela come vi piace (io, a caso).


Infornate a forno già caldo a 180 gradi per circa 30 minuti.



E fin qui, sembra tutto come sempre. E no.
Mentre la torta cuoce, preparate l'ingrediente segreto, quello che nobilita il più semplice dei dolci casalinghi, e lo eleva al rango di coccola per palato e pensieri, che, all'assaggio, subito si rasserenano, se non si concentrano, ovviamente, su quel milione  - più o  meno - di calorie in più.

In un pentolino, fate fondere 80 gr. di burro; aggiungete poi un uovo intero, 50 gr. di zucchero (la ricetta dice 100) e un bel po' di succo di limone (questa la mia variante, la ricetta dice cannella).


(questa foto è davvero orrenda, lo so, ma per rigore scientifico ho voluto pubblicarla... E pensare che le food blogger creano, con un guscio d'uovo e un po' di farina versata ad arte, capolavori fotografici che neanche Fabrizio Ferri)

Quando la torta ha un bel colore dorato, cospargetela di questa cremina e infornate di nuovo per 10 minuti.
Si dovrebbe mangiare fredda... Notate l'uso del condizionale.



Ricapitolando, ecco gli ingredienti:
Torta:
150 gr. di farina
100 di zucchero semolato
2 uova
una bustina di lievito vanigliato
60 gr. di olio di semi
2 o 3 mele (io renette)
un pizzico di sale
buccia grattugiata di limone (io l'ho dimenticata...)

Per la crema
1 uovo
80 gr. di burro fuso
50 gr di zucchero semolato
cannella o succo di limone


La mela. In genere amo solo una varietà, la renetta. Mi piace accarezzare la sua buccia ruvida dalle sfumature ruggine, mi piace il fatto che sia aspra, ma fondamentalmente dolce. È la mela più brutta, ma è quella di maggior carattere. 
 E mentre sentivo la morbidezza della crema a contrasto con la presenza vigile della mela, ho iniziato a pensare a Pablo Neruda.

Ode alla mela 

Te, mela,                                                        
voglio
celebrare
riempiendomi
la bocca
col tuo nome,
mangiandoti.
Sei sempre
nuova come niente altro,
sempre
appena caduta
dal Paradiso:
piena
e pura
guancia arrossata
dell’aurora!
Quanto difficili
sono
paragonati
a te
i frutti della terra,
le uve cellulari,
i manghi
tenebrosi,
le prugne
ossute, i fichi
sottomarini:
tu sei pura manteca,
pane fragrante,
cacio vegetale.
Quando addentiamo
la tua rotonda innocenza
torniamo per un istante
ad essere
creature appena create…
Io voglio
un’abbondanza totale,
la moltiplicazione
della tua famiglia,
voglio una città,
una repubblica,
un fiume Mississippi
di mele,
e alle sue rive
voglio vedere
tutta
la popolazione
del mondo
unita, riunita,
nell’atto più semplice che ci sia:
mordere una mela.    (1957)

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