Sabato sera.
Dopo un sabato pomeriggio trascorso a scuola. Sono stanca.
Rientro e trovo sul fornello un sugo al pomodoro profumato al basilico, quei sughi densi, fatti in casa e che sanno di casa.
"Stasera facciamo i panzerotti" (la pizza no, mi si è rotto il forno pochi giorni fa e ancora non l'ho sostituito).
Quanto può essere rassicurante e consolatorio un sugo profumato di pomodoro?
E quanto può essere dolce e intimo il tempo speso per un panzerotto al sugo fatto in casa?
Allora mi è tornato in mente un classicone, un testo da pubblicità e mi sembra anche che, anni fa, la Mutti lo utilizzasse per la sua passata.
Sto parlando della celeberrima Ode al pomodoro di Pablo Neruda, tratta dalle sue Odi elementari.
Buona lettura!
La strada
si riempì di pomodori,
mezzogiorno,
estate,
la luce
si divide
in due
metà
di un pomodoro,
scorre
per le strade
il succo.
In dicembre
senza pausa
il pomodoro,
invade
le cucine,
entra per i pranzi,
si siede
riposato
nelle credenze,
tra i bicchieri,
le matequilleras
la saliere azzurre.
Emana
una luce propria,
maestà benigna.
Dobbiamo, purtroppo,
assassinarlo:
affonda
il coltello
nella sua polpa vivente,
è una rossa
viscera,
un sole
fresco,
profondo,
inesauribile,
riempie le insalate
del Cile,
si sposa allegramente
con la chiara cipolla,
e per festeggiare
si lascia
cadere
l'olio,
figlio
essenziale dell'ulivo,
sui suoi emisferi socchiusi,
si aggiunge
il pepe
la sua fragranza,
il sale il suo magnetismo:
sono le nozze
del giorno
il prezzemolo
issa
la bandiera,
le patate
bollono vigorosamente,
l'arrosto
colpisce
con il suo aroma
la porta,
è ora!
andiamo!
e sopra
il tavolo, nel mezzo
dell'estate,
il pomodoro,
astro della terra,
stella
ricorrente
e feconda,
ci mostra
le sue circonvoluzioni,
i suoi canali,
l'insigne pienezza
e l'abbondanza
senza ossa,
senza corazza,
senza squame né spine,
ci offre
il dono
del suo colore focoso
e la totalità della sua freschezza.
(Pablo Neruda)
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