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Fernando Pessoa, il mal di testa e l'ibuprofene

 


Con questo blog, mi sono lanciata in una sfida personale, ovvero quella di trovare riscontri letterari anche per le banalità, non poi tanto banali, del quotidiano. 

Parto dai piccoli fatti, quasi da luogo comune, per avventurarmi nei dedali letterari. La letteratura parla di vita  e la vita è fatta di istanti, alcuni indimenticabili, altri all'apparenza sempre uguali a se stessi, ma che poi tanto uguali non sono. La letteratura non parla solo di grandi slanci, se vuole parla anche di pidocchi. 

A noi, dunque. Qual è la banalità del giorno? Ho mal di testa. E che ci frega, direte. 

Alzi la mano chi, beato lui o beata lei, non ha mai avuto mal di testa. Ecco, io ne soffro da un po' di anni, non spesso, ma quando arriva non mi pare poi tutta quella banalità di cui sopra. E credo non sia banale neanche per i miei colleghi di emicrania. 

Fare lezione quando si ha il mal di testa non è particolarmente piacevole. Dopo qualche ora di interrogazione, oggi ho capitolato e ho ceduto alle lusinghe di rai play. E guardiamoci il documentario su Stalin e le purghe e i kulaki e i piani quinquennali.

Alle 13 stavo collassando. Anche per colpa di Stalin. Così al suono della campanella mi sono trascinata in farmacia, ma intanto cercavo un aspetto poetico anche nella sofferenza. 

Ed eccolo, insieme al mal di testa ha bussato Pessoa. Un pensiero dal Libro dell'inquietudine

Ho mal di testa e di universo.
Ho mal di testa perché ho mal di testa. Mi fa male l’universo perché la testa mi fa male. Ma l’universo che veramente mi fa male non è quello vero, quello che esiste perché non sa che io esisto, ma quello, proprio mio, che, se passo le mani nei capelli, mi fa credere di sentire che essi soffrono tutti soltanto per farmi soffrire. 

Per fortuna però, oltre alla letteratura, c'è l'ibuprofene. 

Ci sarà mai una poesia, una prosa, un aforisma sull'ibuprofene? 

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