Da lontano
Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio
e non c'è posto per le parole
e a poco a poco ci si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo un nome amato
per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.
(Pierluigi Cappello, Da lontano, in Mandate a dire all'imperatore, Crocetti, Milano 2010, p. 47.)
I miei studenti, soprattutto quelli che si mettono le mani nei capelli tutte le volte che c'è da fare una parafrasi, mi chiedono spesso: "Ma prof., a cosa serve la poesia? Cioè, veramente c'è qualcuno che viene pagato per scrivere poesie?".
La risposta alla seconda domanda è molto facile: "no". O meglio: di solito i poeti non vivono di poesia. Se percepiscono un compenso, diciamo che questo compenso, nella maggior parte dei casi, è più simile a un obolo; con la poesia non si mangia, o al massimo si mangia un panino. E' sempre stato così e credo che lo sarà sempre. Forse è un'amara constatazione, ma è la verità. Di solito si riesce a continuare l'attività di poeta perché si ha un'altra fonte di reddito, sia essa il patrimonio di famiglia, sia essa un lavoro degnamente retribuito.
La prima domanda è insidiosa, ma intimamente collegata alla seconda, e comunque gli studenti vogliono capire non solo perché gli tocchi la parafrasi di Inferno XXVI, ma anche su cosa si basino le tue convinzioni di docente di letteratura italiana. Nel senso: perché hai pensato di dedicare la tua vita a spiegare l'opera di gente, spesso già defunta, che per una qualche turba mentale ha dedicato tempo prezioso a scrivere versi?
Poi, insomma... Si guadagna bene, scrivendo? No. La poesia ha una qualche utilità pratica? No. Cura qualche malattia? No. Se non leggi/scrivi poesie, ti ammali. ti fa male qualche cosa? No.
E allora?
Allora c'è che l'uomo ha naturalmente bisogno di poesia, anche quando non lo sa. Ha bisogno di uscire "a riveder le stelle", o di vederle per la prima volta, se ha sempre tenuto il suo sguardo chino verso la polvere e la strada. Ha bisogno di uno slancio nuovo, di motivazioni interiori che ci facciano vivere veramente e non solo stare al mondo. Credo che tutti noi avvertiamo la necessità, prima o poi, di materia con la quale plasmare la nostra esistenza, perché coltivare la propria interiorità è un esercizio, non un dato di fatto. Farsi domande, interrogarsi su di sé e sul mondo, prendersi un po' di tempo per riflettere sono tutti "esercizi" che richiedono tempo e anche un po' di fatica. Ma sono necessari.
La poesia serve a questo. A chi la scrive per conoscersi ogni volta di più; a chi la legge per porsi domande nuove o darsi risposte, domande o risposte profonde, perché non nascono dall'immediatezza. La poesia non è mai immediata anche quando sembra semplice.
Come tornare ad amare e divulgare la poesia, che in Italia si apprezza sempre meno (mentre in UK, per esempio, hanno ancora la figura del poeta laureato)?
Carol Ann Duffy, poetessa laureata inglese - ph. Getty
Credo che si debba rivedere la logica delle azioni. Mi spiego meglio: oggi, soprattutto per gli adolescenti (la fascia d'età dei miei studenti, per capirci), la gratuità è un concetto praticamente assente. Tutto ciò che si fa deve avere una finalità pratica e condurre a un immediato guadagno. Ciò che non rientra in questa categoria, non ha ragione di esistere. Sia chiaro, nulla contro i soldi, ci mancherebbe. Ma qui sto parlando di altro.
Sto dicendo che,oggi, il fatto che qualcuno perda il suo tempo a scrivere versi senza guadagnarci sopra, per tanti ragazzi è semplicemente sconvolgente. Questo modo di pensare, così evidente negli adolescenti, è sempre più presente anche nel "mondo adulto". Chi scrive poesie è di solito poco appariscente, non ha migliaia di followers sui social, spesso è troppo colto e troppo poco "cool", non è un influencer, non fa girare montagne di soldi, non sponsorizza niente.
Quindi è inutile. Ciò che fa è inutile. Di conseguenza, il tempo speso a leggere e meditare dei versi è tempo perso.
Fermiamoci tutti. Sono ripetitiva, ma lo dico di nuovo: facciamoci il regalo del silenzio. Guardiamo un po' di più le stelle e meno la terra, almeno fino a che non rischiamo di inciampare.
E poi leggiamo, per esempio, le meravigliose poesie di Pierluigi Cappello, classe 1967, uno dei più grandi poeti italiani viventi. Facciamoci questo regalo.
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