Passa ai contenuti principali

Le notti (e i giorni) che non accadono mai



"Ci sono notti che non accadono mai"

Alda Merini


Penso che questo sia uno degli aforismi più celebri di Alda Merini. Uno di quelli usati anche per il merchandising. Mi ricordo che, quando ero al liceo, o forse addirittura alle medie, mia cugina Patrizia regalò a mia madre un grembiule da cucina blu con l'aforisma "io amo perché il mio corpo è sempre in evoluzione".  Il mio primo incontro con la grande Alda è proprio avvenuto grazie a un grembiule blu. Poi ad Alda sono anche riuscita a stringere la mano, ma questa è un'altra storia.  

Quello in apertura al post è, dicevo, uno degli aforismi più noti e uno che mi mette gioia o malinconia a seconda delle circostanze. 

Un aforisma su cosa potrebbe essere e non è, oppure non sarà. L'indefinito della notte, l'indefinito di un'attesa vana. 

Ma anche un aforisma che mi ricorda anche l'importanza del qui e ora. Concentrarsi sulla presenza, su ciò che effettivamente c'è di bello e di buono e per cui essere grati e non su quello che non accade mai. 

Però poi ci sono anche  notti (e giorni) che sono macigni sul cuore e vorremmo levarceli uno a uno questi macigni e riprendere a respirare come da tempo non sembra possibile fare. E quelle notti (e quei giorni) che non accadono mai hanno il sapore della leggerezza tanto difficile, ma non impossibile, da conquistare. 

Ecco perché mi piacciono tanto gli aforismi della Merini. Perché posso interpretarli - magari in modo diverso da come li pensava lei, ma ormai ciò che è scritto è consegnato al mondo, come il canto di Ungaretti del Porto sepolto - e li posso mettere in una metaforica valigia poetica, il mio bagaglio di parole quotidiano, pronto per l'occorrenza. 


Commenti

Post popolari in questo blog

L'angolo di Don Camillo. Il rispetto (e la bandiera della signora Cristina)

  La signora Cristina , il "monumento nazionale" per dirla alla Guareschi, un giorno morì. Era il 1946. Lei, monarchica, diede, prima di spirare, disposizioni per il suo funerale: voleva la bandiera del re. Non quella della repubblica, ma quella del re perché "i re non si mandano via". E poco importa se c'era stato il referendum, la signora Cristina voleva che la sua bara fosse avvolta nella bandiera con lo stemma. "... Sulla cassa voglio la bandiera (...) La mia bandiera, con lo stemma (...) Dio ti benedica anche se sei bolscevico, ragazzo mio ", disse, rivolgendosi a Peppone. E poi chiuse gli occhi e non li riaperse più . Immaginiamo quale turbamento una simile richiesta potesse provocare in un sindaco comunista, che certo non poteva rispettare a cuor leggero una simile volontà. Chi ama Don Camillo sa benissimo quale fu la decisione di Peppone: Peppone accontentò la sua maestra.  Ma, a mio avviso, la grandezza di questo episodio non sta nel ...

L'angolo di Don Camillo: la Gisella. Come affrontare la realtà

 Scusate l'assenza di questi giorni, ma a volte il tempo scorre via  veloce, tra lavoro (chi insegna sa che queste sono le famigerate settimane dei recuperi! Mgliaia di verifiche da correggere!), famiglia e tante  cose da fare. Ma eccomi al venerdì, eccomi alla rubrica dedicata al mio amato Guareschi e al suo don Camillo. Dalla prossima settimana prenderò in considerazione altri libri del Mondo Piccolo ; oggi mi soffermerò ancora su Don Camillo, nella 30esima edizione Bur, pagina 230. Questo l'antefatto: la Gisella, fervente comunista del gruppo di Peppone, viene trovata legata e incappucciata con il sedere dipinto di rosso. Peppone interpreta questo gesto come una "sanguinosa offesa alla massa proletaria". Dichiara uno sciopero e vuole che tutto, al paese, si fermi. Compreso l'orologio della torre del campanile. Va quindi da Don Camillo e gli intima di far fermare l'orologio; anzi, dichiara che, se non lo fermerà il sacrestano, lo fermerà lui stesso...

La poesia non serve a niente?

 Da lontano Qualche volta, piano piano, quando la notte si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio e non c'è posto per le parole e a poco a poco ci si raddensa una dolcezza intorno come una perla intorno al singolo grano di sabbia, una lettera alla volta pronunciamo un nome amato per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato. ( Pierluigi Cappello , Da lontano , in Mandate a dire all'imperatore , Crocetti, Milano 2010, p. 47.) I miei studenti, soprattutto quelli che si mettono le mani nei capelli tutte le volte che c'è da fare una parafrasi, mi chiedono spesso: "Ma prof., a cosa serve la poesia? Cioè, veramente c'è qualcuno che viene pagato per scrivere poesie?". La risposta alla seconda domanda è molto facile: "no". O meglio: di solito i poeti non vivono di poesia. Se percepiscono un compenso, diciamo che questo compenso, nella maggior parte dei ...