Ricordo di aver letto, tanti anni fa, un post o una pagina di un libro di Costanza Miriano, la quale raccontava che, durante una discussione sul perché nelle fiabe la mamma del protagonista morisse sempre, una delle sue figlie, all'epoca una bimba, affermò: "Perché la mamma, quando è viva, stressa".
Tutte le volte che penso a quella battuta rido tantissimo e la riciclo sempre anche con mio figlio adolescente, soprattutto quando dalla sua cameretta blindata risponde con monosillabi alle mie litanie di lamentele e richieste (sistema la camera, sistema i libri, hai lasciato in giro le scarpe, perché non sistemi le scarpe, porta lo zaino in camera, perché non porti lo zaino in camera, e lo zaino? e le scarpe? e i libri?).
Quando esagero, se ne esce con il quesito dei quesiti: "Ma perché mi stressi?". Mia risposta, puntuale (infatti lui ormai fa la domanda, aspettando la risposta): "Perché la mamma, quando è viva, stressa". E giù a ridere.
Io sarò contro corrente, ma lo dico apertamente e senza ironia: avere un figlio adolescente è bellissimo. Vedere una persona crescere, formare la sua personalità, scoprire i suoi talenti è lo spettacolo più appagante della vita, anche perché offre nuove prospettive. Il genitore non è uno spettatore passivo, ma cresce con il figlio, fa i conti con quelle parti di sé che fanno male come scorticature della pelle, si lavora e si plasma per essere una persona migliore e un esempio, o almeno per provarci.
A volte i ragazzi pronunciano quella frase che ti lascia di stucco e che ti fa scattare dentro qualcosa. Non sono accondiscendenti con le paturnie genitoriali, anche perché hanno già le loro paturnie da gestire, quindi non esageriamo. Gli adolescenti insegnano ai genitori a diventare adulti, perché hanno bisogno di un adulto, non di un amico né di un adoratore. Un adulto che dica no, e che sappia restare saldo nel no, facendo capire perché è no. Una adulto che sappia mettere da parte la propria immaturità e che resista saldo nei momenti di fragore emotivo.
Un figlio adolescente ti chiede di essere saldo, in modo che lui possa spiccare il volo in tutta sicurezza. E se a volte i figli sono musoni, scontrosi, sopra le righe, va anche bene così. Noi non lo siamo mai? Anzi, ci sono adulti che si aspettano di essere compensati emotivamente dai bambini e dai ragazzi e che sono sempre pronti a puntare il dito sulle mancanze altrui, senza domandarsi cosa possano fare loro per sopperire alle loro, di mancanze.
Ci sono tanti libri sugli adolescenti, alcuni che per me sono una noia mortale, anche se ormai "classiconi", come Il giovane Holden. Uno dei libri più belli sull'adolescenza per me rimane Harry Potter. E non per Hogwarts, il Quidditch, il contorno di magia. Ma perché Harry e i suoi amici crescono imparando a fare delle scelte.
Alla fine del Calice di fuoco (quarto libro della saga) , Albus Silente dice a Harry quattordicenne: "Verrà il momento in cui dovremo scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile". E i libri successivi andranno tutti in questa direzione. Harry sbaglierà, si pentirà, affronterà conseguenze difficili per aver compiuto delle scelte giuste, sarà ammaliato dalla possibilità di diventare padrone della morte, ma alla fine sceglierà il bene, non senza un incessante lavoro interiore.
Diventare adulti significa assumersi le responsabilità di scelte giuste, anche se difficili, anche se non condivise. E non è per niente facile. I figli adolescenti ci costringono a farlo, o almeno a provarci, anche se poi sbagliamo pure noi mille volte, in modo che diventiamo noi in grado di insegnarlo a loro.
P.s. La nuova traduzione dei libri di Harry Potter non mi piace. Abbiamo imparato a conoscere la professoressa McGrannith e Madama Chips, che senso ha cambiare ora i nomi che anche i film hanno utilizzato? Con quale criterio sono stati usati gli originali inglesi per qualche personaggio e per altri no? Dumbledore significa "che borbotta", ma è rimasto Silente, per esempio. Non so, io faccio davvero fatica a rileggerli in questa nuova forma.
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