Qualche giorno fa, a scuola, stavo facendo leggere il discorso all'Accademia Pontificia delle scienze di Giovanni Paolo II del 1992, testo esemplare in cui si esamina il caso Galileo. Visto che in 4^ liceo Galileo è nel programma e visto che non mi arrendo alla vulgata comune "Galileo genio, gli uomini di chiesa tutti ignoranti", approfondisco sempre, non solo con gli scritti dello scienziato, ma anche con i documenti che sono pertinenti al caso.
Ebbene, nel suo scritto, Papa Giovanni Paolo II parla, tra l'altro, dei rischi dello scientismo e del fare della scienza un dogma (quando il fondamento della scienza è invece il dubbio). La scienza non può spiegare l'uomo. La scienza (e la tecnica) non possono diventare padrone dell'umano.
Non ricordavo che anche di questo aspetto si fosse occupato il mio amato Giovannino, con il suo umorismo e la sua capacità di spiegare anche a un bambino i concetti più difficili, usando la forma del dialogo tra don Camillo e il suo Cristo.
Nel racconto Filosofia campestre, contenuto nel volume Don Camillo, si racconta di uno sciopero organizzato dai rossi. Il raccolto deperisce, le mucche iniziano a dare meno latte. Don Camillo è inviperito, così, dopo aver come al solito litigato con il sindaco Peppone, corre a sfogarsi con il Cristo.
"E' gente che avrebbe bisogno di una lezione", disse don Camillo. "Mandategli un ciclone che butti all'aria ogni cosa. [...] Un diluvio universale ci vuole. Creperemo tutti[...]".
Il Cristo sorrise.
"Don Camillo, per arrivare a questo non occorre un diluvio universale. Ognuno è destinato a morire quando è il suo turno e a presentarsi davanti al tribunale divino per avere il premio o la punizione. Non è la stessa cosa anche senza cataclisma?".
"Anche questo è vero", riconobbbe don Camillo tornato calmo.
Il dialogo poi continua con don Camillo che vorrebbe almeno qualche secchiata d'acqua, se proprio proprio deve rinunciare a chiedere il diluvio, ma il Cristo lo rassicura che non ce n'è bisogno. A quel punto, don Camillo sbotta e:
"Capisco perfettamente quanto sia giusto quello che Voi dite. Però che un povero prete di campagna non possa neanche permettersi di chiedere al suo Dio di far venire giù due catinelle d'acqua, perdonate, ma è sconfortante".
Il Cristo si fece serio
[...]"Non ti crucciare, don Camillo. Lo so che il vedere gli uomini che lasciano deperire la grazia di Dio è per te un peccato mortale [...]. Ma bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perché non hanno più fede nella giustizia divina e ricercano affannosamente i beni della terra perché non hanno fede nella giustizia divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede e le macchine volanti sono per essi gli angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di far diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza, perché se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede solo la matematica delle cose. E l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. [...] Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno, quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone, e si affaccerà sull'infinito e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita".
Se ci pensiamo, dall'illuminismo (quando anche il caso Galileo è diventato una sorta di mito anticattolico) al Novecento a oggi, le peggiori nefandezze sono state compiute in nome della scienza, quando la scienza è diventata il metro di giudizio dell'uomo. Il razzismo scientifico, le leggi razziali precedute da manifesti della razza su base scientifica; la medicina nazista che in nome del progresso ha sacrificato vite. Fino ad arrivare a momenti della storia recente in cui dietro lo slogan di "lo dice la scienza" sono stati sacrificati lavoro, libertà e talvolta anche dignità.
Del resto anche Dante lo spiegava in modo magistrale nel canto XXVI dell'Inferno. Il naufragio di Ulisse è un avvertimento a tutti noi: mai valicare il limite, mai cedere alla tentazione oggi sempre più presente di farsi Dio, di sentirsi padroni della vita e della morte.
E' per questo che poi leggiamo in Purgatorio III, 34-39
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria".
Come è terminato poi il dialogo tra il Cristo e don Camillo?
Il Cristo sorrise e don Camillo lo ringraziò di averlo messo al mondo.
P.S. Mi sono accorta ora che, anni fa, avevo già scritto un post su questo racconto, ma lo giudicavo in modo totalmente diverso. Ora l'ho capito.
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