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L'angolo di Don Camillo: fare la cosa giusta. L'angelo del 1200

 


C'è un raccontino in Don Camillo e il suo gregge che mi era sempre passato inosservato. Sei pagine, breve come tutti i raccontini; ho letto tante volte i libri del mondo piccolo, ma L'angelo del 1200 proprio non me lo ricordavo. 

Inizia così: "Morì il vecchio Bassini e sul suo testamento c'era scritto: 'Lascio tutto all'arciprete perché faccia indorare l'angelo del campanile, così luccica e di lassù posso capire dov'è il mio paese'."

Don Camillo, ovviamente, vuole fare la volontà del defunto e chiama gli specialisti di città per visionare l'angelo. Il responso è unanime: quell'angelo sul campanile è un capolavoro del 1200. Don Camillo non capisce come sia possibile, la chiesa ha più o meno trecento anni, dove stava quell'angelo prima della costruzione della chiesa? Ma gli esperti confermano: la datazione è 1200. 

Ovviamente la questione della doratura dell'angelo diventa a poco a poco un affare di tutto il paese: è un angelo miracoloso, è di straordinaria bellezza, bisogna tenerlo in chiesa perché sia visibile a tutti. 

Allora si arriva a una decisione: si fa fare una copia dell'angelo del 1200, si issa sul campanile la copia e si lascia in chiesa quello del 1200, fatto dorare secondo la volontà del defunto Bassini. 

Ma quando la copia viene issata e l'originale viene trasportato in chiesa, Don Camillo non si dà pace. Gli sembra di aver truffato il vecchio Bassini che aveva lasciato il denaro per far dorare l'angelo del 1200 e vederlo luccicare da lassù. "Vede luccicare un angelo falso..." Pensa Don Camillo. 

Chiede consiglio al Crocifisso, ma il Crocifisso tace. Allora don Camillo torna davanti all'angelo: "Per trecento anni tu hai guardato questi campi e questa gente. Per trecento anni tu, silenzioso, hai vegliato su questa terra e su questi uomini. Forse per settecento anni perché, magari, questa chiesa è sorta sulle rovine di una vecchissima chiesa. Ci hai salvato dalle guerre, dalla fame, dalla peste. [...] E adesso tu sei qui, senz'aria, in una gabbia dorata e non vedrai più il sole e non vedrai più il cielo azzurro. E al tuo posto c'è un angelo falso che viene da Sesto San Giovanni e porta chiusa nel suo metallo solo l'eco delle bestemmie dei fonditori avvelenati dalla politica. [...] Mentre in ogni millimetro quadrato del tuo metallo c'è un po' della fede dell'ignoto artigiano del 1200, nel metallo dell'altro c'è solo la fredda empietà della macchina".  

Così, alla undici di notte, una notte silenziosa e piena di nebbia, don Camillo esce e va a chiamare Peppone. In due fanno il lavoro di cinque uomini: tolgono l'angelo falso dal campanile e issano quello vero, poi portano in chiesa quello falso. Alle cinque hanno finito il lavoro. 

Tornano in canonica fradici di sudore e con le mani scorticate e guardano dalla finestra. Non si capacitano di essere riusciti a compiere una simile impresa. 

"Gesù, io non lo so come siamo riusciti a fare questo!", dice Don Camillo.  E il Cristo non rispose, ma sorrise perché Lui lo sapeva. 

Don Camillo ha scelto di fare la cosa giusta. Nel silenzio, nella nebbia, nel nascondimento, con l'aiuto dell'amico più caro. Non voleva tradire la promessa fatta al Bassini, anche se per tutti aveva compiuto la scelta  migliore e sicuramente più ragionevole: proteggere un capolavoro del 1200 dalle intemperie e esporlo in chiesa. Ma non era quello che aveva promesso al Bassini. 

E poi, la copia non ha nulla a che vedere con l'originale. L'originale è stato creato da un artigiano che ha lavorato con fede e che quella fede l'ha lasciata, come un'eco, nella sua creazione; la copia è il frutto di una macchina che non ha anima e quindi non ha fede. Mi riaggancio a quanto già detto qui, circa il ruolo della macchina che sostituisce l'uomo. Utile, sicuramente, in grado di copiare alla perfezione l'uomo, ma cosa resta dell'uomo se la macchina stessa lo sostituisce? E se l'uomo lascia che la macchina si impadronisca di lui, cosa resterà ai posteri dell'umanità che li ha preceduti? 

Una macchina, per quanto perfetta, non può avere la coscienza di fare la cosa giusta. 

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